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La via della Seta da nord a sud e il Kyrgikstan. Bukhara, la città dei tappeti.


Il giorno dopo, siamo partite alla volta di Bukhara, la tratta più lunga percorsa, sempre condividendo il taxi con i due amici italiani. Questa volta il viaggio è stato più faticoso, abbiamo viaggiato di giorno nel deserto con temperature oltre i 50°C, i bagagli sempre in braccio e l’aria condizionata a singhiozzo. Fortunatamente, il tassista aveva un contatto a metà strada dove ci siamo fermati a mangiare: pomodori che sapevano di pomodoro appena raccolto, cipolle dolcissime, pane appena sfornato, il pollo bollito più buono che avessi mai mangiato, pesce fritto e anguria e the dolce per finire. Tutto ottimo. E bello. Sotto un piccolo portico subito fuori dalla cucina della famiglia, seduti a gambe incrociate, perché in Uzbekistan si mangia su delle panche basse ricoperte di tappeti, con il tavolino in mezzo.

Riprendiamo la traversata del deserto e finalmente arriviamo a Bukhara nel pomeriggio. Dopo aver trovato un bed and breakfast, anche questo nuovissimo, pulitissimo e carino, ci sistemiamo e andiamo a fare due passi al tramonto. La prima impressione di Bukhara è che sia un po’ artefatta e molto turistica, ma comunque bellissima. Purtroppo, una cosa che accomuna Khiva, Bukhara e Samarcanda è che erano state rase al suolo dai russi, quindi di originale non rimane molto, ma tutto è stato ricostruito fedelmente in tutto il suo sfarzo e in tutti i loro dettagli. Anche Khiva è una ricostruzione in gran parte della Khiva che era, ma a Bukhara questo stacco si sente molto di più, forse perché qua e là hanno inserito elementi moderni, come i bar intorno alla vasca centrale sulla piazza Llaby-Hauz, la piazza principale. In passato Bukhara era famosa per la rete idrica che alimentava tutta una serie di vasche aperte sparse per la città, dove la gente andava a prendere acqua, si lavava e si radunava a chiacchierare. I russi hanno poi chiuso questi canali, in quanto queste vasche alimentavano spessissimo anche pestilenze, altra cosa per cui era famosa la città.

Questa città ha bisogno di almeno due giorni per poter essere scoperta e apprezzata appieno, infatti, al di fuori del centro, dove si concentrano alcune perle come la madrassa su Llaby-Hauz, al cui interno fanno uno spettacolo danzante al pomeriggio, ci sono altre meraviglie che vale la pena scoprire e che sono meno battute dai turisti, sia occidentali che locali.

E’ bellissimo perdersi nei vicoletti del quartiere ebraico e camminare fino all’università, attraversando quella che io ho chiamato la “Bukhara vecchia”, dove abita la gente e dove è possibile ammirare alcune moschee “originali”, tutte diroccate. Spingendosi fino all’Ark, la fortezza, si incontrano moschee stupende, bar all’aperto dove ci si può godere una fetta di anguria e un the caldo, un toccasana contro il caldo asfissiante.

L’Ark accoglie un museo molto interessante, che fa scoprire di più della storia di queste città quasi magiche e dovettero la loro ricchezza e sfarzo spesso alla crudeltà dei loro regnanti. Un esempio di questa crudeltà, è la storia dei due ufficiali inglesi Stoddart e Connolly. Vissuti nella prima metà del 1800, il primo era un diplomatico e fu arrestato dall’Emiro di Bukhara, perché non lo salutò con il dovuto rispetto, seguendo gli usi locali. Fu tenuto prigioniero nel “buco nero”, una fossa raggiungibile solo con una corda profonda sei metri e che offriva ovviamente condizioni di sopravvivenza terribili. Dopo 3 anni di prigionia, un altro ufficiale, Connolly, fu inviato per negoziare la liberazione, ma creduto una spia, fu messo agli arresti. Entrambi furono condannati a morte nel 1842 e costretti a scavarsi la fossa da soli, prima di essere decapitati di fronte all’Ark. Anche questa storia, fa capire bene come abbiano fatto a rimanere indipendenti così a lungo.

Tornando al turismo e alla vita: Bukhara è famosa anche per i suoi mercati. Mercati per il pane, per la frutta secca, per le spezie, per il cambio valuta in nero, per casalinghi, e sopratutto per i suoi famosissimi tappeti,tra i più rinomati e conosciuti al mondo. Entrando si viene immersi completamente nella loro quotidianità e nei loro profumi e, una cosa che ho adorato, è che i venditori non ti danno l’assalto come di solito nei mercati dei posti turistici.

Altri mercatini carini si trovano in molte moschee e madrasse, nonostante sia un paese a prevalenza musulmano, quasi tutte le moschee e madrasse sono sconsacrate e votate esclusivamente al turismo. I turisti sono veramente molto rispettati, molto più che in altri paesi, o almeno questa è stata la mia impressione. Si vede dallo sforzo che fanno per far crescere il settore, soprattutto ora che hanno un presidente che ha finalmente aperto il paese ai visitatori. Dal 2016, ha snellito molto le pratiche di richiesta del visto e dal 2019 l’ha addirittura abolito per i cittadini italiani.

Alla sera, la piazza di Llaby-Hauz si anima ed è sufficiente avventurarsi un po’ nei suoi dintorni per scoprire ristorantini con terrazze spettacolari, dove gustare il plov, riso pilaf con stufato di carne e verdure, shashlik (spiedini di carne alla griglia di ogni sorta) deliziosi, accompagnati da verdure grigliate, insalata di pomodori, cetrioli e cipolle dolci come il miele (credetemi!) e suzma, una specie di yogurt fermentato. Come avrete ormai capito, per me il cibo è parte fondamentale di ogni viaggio. Adoro mangiare in generale e adoro provare gusti nuovi, quindi non dico mai di no a nulla, a meno che non sia un cibo che possa comportare un rischio per la salute e compromettere il viaggio.

Dopo cena, ormai è d’obbligo il narghilé e il the, che sorseggiamo insieme a un ragazzo italiano incontrato per caso che stava attraversando l’Asia dalla Russia alla Mongolia in treno. Questo è uno degli innumerevoli lati positivi del viaggiare da soli: incontrare gente impegnata in avventure vere e proprie!

Andiamo a dormire, un po' tristi di lasciare questa città meravigliosa, ma curiose di scoprire la prossima meta un po' al di fuori delle rotte turistiche: Shahrisabz.


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