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La via della Seta da nord a sud e il Kyrgikstan. Finalmente, Samarcanda.


Rieccomi. E’ passato più di un mese dall’ultimo post, ma ho avuto un calo di ispirazione e sono stata travolta emotivamente dagli eventi. L’Italia è stata riaperta dopo il periodo di lockdown a causa del Covid-19 e, più o meno, si è tornati alla vita precedente. Chi più e chi meno. Io mi sento un po’ intrappolata nel mezzo. Ci sono regole di distanziamento sociale da seguire e cerco di farlo per quanto possibile, ma poi vedo che un sacco di persone si comportano come nulla fosse. Come se non avessimo vissuto due mesi di tragedia umana e sociale e come se questa cosa non abbia e non avrà conseguenze pesantissime sulla vita di tantissime persone. Poi penso alla politica, ai governi e a come si sarebbero potute evitare tante perdite umane (sia a causa Covid che non), se solo non avessero rubato e pensato ai loro interessi, in passato come oggi. E mi fa incazzare. Da morire. Poi scoppiano le rivolte contro il razzismo e la violenza della polizia negli Stati Uniti e pensi a come dovrebbero scoppiare anche qua, per tutta la gente morta in carcere ammazzata e per la quale non verrà probabilmente mai fatta giustizia, per tutti gli immigrati sfruttati e discriminati ogni giorno e per mille altri motivi. Ecco, sono stata emotivamente invischiata in tutte queste emozioni, cercando ogni giorno di cercare del buono nell’umanità, verso la quale non nutro molta speranza. Viaggiare a me serve anche a questo: a trovare il buono negli uomini. Come diceva Anthony Bourdain, uno dei miei idoli indiscussi, l’umanità non è niente più che un branco di lupi, pronta a rivoltarsi contro sé stessa in ogni momento, ma viaggiando, scopri che ci sono ancora tantissime persone che ogni giorno fanno il meglio che possono. Non posso che sottoscrivere: viaggiando rinasce la speranza che non tutti siano perduti, ma ci siano ancora tantissime persone di cuore, generose e pronte a dare il massimo per gli altri ogni giorno. E guarda caso, sono sempre le persone che magari hanno le vite più difficili.

Ma torniamo a noi, avevo già scritto il diario su Samarcanda, ma dopo queste riflessioni, ho deciso di arricchirlo ulteriormente, parlando delle persone fantastiche conosciute.

Arriviamo alla stazione dei taxi collettivi e come apriamo la portiera del minibus, veniamo assalite da un’orda di tassisti che ci sbattevano i cellulari in faccia con le loro tariffe riportate sullo schermo.Ovviamente, nell’immediato rimaniamo un attimo scioccate, ma è bastato un urlo per farli arretrare, per poi spiegare che avremmo scelto, ma con calma.Scegliamo quello con la tariffa più conveniente, posiamo i bagagli nel baule approfittando dello spazio a disposizione e ci accomodiamo in auto…per una mezz’ora buona.Sì, perché ovviamente i taxi collettivi non partono, finché non hanno riempito tutti i posti.Finalmente riusciamo a partire e, dopo due ore di viaggio circa, arriviamo a Samarcanda, proprio vicino al Registan, la piazza principale incorniciata tra tre mastodontiche e meravigliose madrasse.Prima di iniziare ad esplorare però, dobbiamo trovarci un posto dove stare e questa volta è stato un po’ più complicato del solito.Samarcanda è ovviamente la città più turistica del paese e quindi i prezzi degli hotel sono parecchio più alti della media, oltre ad essere spesso pieni. Iniziamo a girare nella zona, sotto il sole cocente, era l’una di pomeriggio, e con 20 kg di zaino sulle spalle, senza trovare nulla. Chiediamo a dei ragazzi dentro un ristorantino, che si attivano immediatamente per aiutarci, fanno un paio di telefonate e ci portano a visitare un paio di posti, che però scartiamo perché veramente border line, anche per me.Ci pensano ancora un po’ e infine, ci portano a un hotel proprio di fronte al Registan. La proprietaria era una signora in abiti tradizionali con tutti i denti d’oro. Dopo una trattativa serrata e un compromesso, decidiamo di fermarci lì. Per la prima notte, ci avrebbe dato la sua stanza, un buco al piano terreno senza finestre e umidissimo, perché non aveva posto, ma le notti successive le avremmo passate in una delle camere sulla corte interna, carina e con finestra. Posiamo i bagagli, mi collego al wifi e metto subito Samarcanda di Roberto Vecchioni (d’obbligo!), ci facciamo una delle mille docce e usciamo, nonostante il caldo. Per prima cosa, cerchiamo da mangiare e troviamo un carinissimo ristorantino sotto una pergola di viti. Zuppa con carne e patate e zuppa di lagman (i noodles locali), acqua e pane, non l’ideale con il caldo, ma erano le portate a meno contenuto di colesterolo che potessimo scegliere. Ci fermiamo qualche ora al fresco e poi andiamo in esplorazione, partendo ovviamente dal Registan. Quando arriviamo sulla scalinata che fronteggia la piazza e viene usata come spalto per ammirare il complesso, rimaniamo senza parole.

Le tre madrasse sono qualcosa di indescrivibilmente grande e bello, maestose, ma rese magnifiche da dettagli e mosaici minuscoli.E’ impossibile non fermarsi a pensare un attimo a cos’è stato creato da Tamerlano e dalle mani umane.Forse, la stessa sensazione di meraviglia e di piccolezza, l’ho provata solamente nella basilica di San Pietro a Roma.Stiamo per un po’ in contemplazione e poi ci decidiamo e fare il biglietto e ad entrare.Una volta nel complesso, è stupore e meraviglia costanti. Ognuna delle tre madrasse offre sorprese e nasconde un mondo completamente a sé stante.Un mondo che ti rimanda alle mille e una notte, ai fasti dell’antica Persia e dell’impero di Tamerlano. La madrasa di Ulug Beg, costruita dal principe e astronomo omonimo, è una nuvola di blu. Entrando, si rimane colpiti dai rivestimenti della corte in maioliche decorate tendenti al blu, all’azzurro e al bianco, oltre che dal giardino e dagli alberi che sono presenti al suo interno. A questo punto, vale la pena anche spiegarvi chi fosse Ulug Beg. Era nipote di Tamerlano ed è stato principe di Samarcanda nella prima metà del XV secolo ed era e rimane un grande astronomo. A Samarcanda è ancora presente l’osservatorio che costruì, uno dei migliori dell’epoca , che purtroppo ci siamo perse perché non siamo riuscite a trovarlo, e grazie al quale calcolò la durata dell’anno solare così come lo intendiamo noi e l’inclinazione dell’asse terrestre, dati che vengono confermati ancora oggi.



La madrasa Sher Dor, che significa “Porta dei Leoni”, è famosa proprio per i due leoni in mosaico che vigilano sulla sua entrata. Infine, la madrasa Tylia Kori che nasconde un tesoro: appena entrati, basta alzare gli occhi al cielo e si rimane travolti dalla bellezza della cupola dorata, in mosaico finissimo, super dettagliata, da coricarsi per terra e perdersi nelle sue fantasie.Magico. Passiamo il pomeriggio così e, per caso, incontriamo di nuovo i nostri amici italiani e ci diamo appuntamento per cena, guarda caso proprio in un ristorante sotto il nostro hotel.

Facciamo ancora due passi lungo il boulevard e ci ritroviamo davanti a un ricevimento, senza capire bene cosa stesse succedendo. Decidiamo di stare lì ad aspettare la stessa cosa che stavano aspettando qualche decina di persona vestita in maniera sfarzosa e un gruppetto di zingari poco lontani. Dopo poco arriva un’auto e scendono degli sposi. Dei musicisti si dispongono ad arco a suonare delle specie di flauti che fanno il suono delle trombe e tutti applaudono, gli sposi iniziano a lanciare banconote da 1.000 Sum (circa 10 centesimi di Euro) che gli zingari si precipitano a raccogliere. Scopriamo in seguito che è tradizione ai matrimoni lanciare banconote per i più bisognosi. Stiamo lì per un po’ e ci riavviamo verso l’hotel, ci incontriamo con i nostri amici al ristorante e ci strafoghiamo di shashlik, pomodori, cetrioli, cipolle e birra.


A servire, c’è anche un ragazzino, 11/12 anni al massimo, super celere, carinissimo e gentilissimo, con cui cerchiamo di fare amicizia.Passiamo una piacevolissima serata e, dopo cena, decidiamo di ripassare dove c’era il matrimonio. I festeggiamenti erano ancora in corso e, come ci vedono, ci invitano ad entrare e ci coinvolgono in danze uzbeke super scatenate e divertenti. Finita la festa, ci riavviamo verso l’hotel e andiamo a dormire nel nostro buco umido.La mattina dopo, scopro che l’hotel non serviva la colazione, ma dopo un po’ di discussione con la signora riesco a farcela dare. Le istruzioni sono: uscite, girate a destra e bussate al quarto portone che incontrate. Rispettiamo le indicazioni e iniziamo a bussare, dopo almeno 10 minuti qualcuno arriva ad aprire ed entriamo in un enorme salone per le cerimonie: tavoli ricoperti di tovaglie di seta finta, sedie finto stile francese, argento finto, quadri improbabili alle pareti e un palco.

Ci accomodiamo con un po’ di disagio e ci servono colazione: the, pane, uova e wurstel (questi ultimi ovviamente li avanziamo e chiediamo che non ci vengano serviti i giorni successivi per non sprecarli). Usciamo.Ci avviamo lungo il viale pedonale che costeggia il Registan e porta fino alla Moschea Bibi Khanum.Questa moschea è anche, ça va sans dire, enorme, e prende il nome da una delle mogli di Tamerlano.Magnifica anche questa, è particolare per i suoi quattro minareti che ne delimitano gli angoli e le tre enormi cupole azzurre che si stagliano verso il cielo. E’ uno dei monumenti più visitati, anche dai locals, una leggenda narra infatti che se una donna passa carponi sotto il sostegno in marmo del Corano dentro la corte interna, avrà molti figli. Dopo la moschea, visitiamo il mercato che è lì vicino e cambiamo un po’ di soldi. Ci sentiamo super losche a contrattare il cambio al mercato nero e andare a prendere la valuta da tizi che la tengono in quantità dentro sacchi della spazzatura.

Compriamo frutta secca deliziosa, fichi e uva e ci facciamo una pausa prima di girovagare per souvenir e cartoline. Da qualche anno, ho deciso di inviare cartoline quando viaggio e di riscoprire questa tradizione. Che bello è ricevere a casa qualcosa che ha viaggiato tanto? Una di queste è addirittura arrivata a destinazione dopo un anno! Verso il tardo pomeriggio, dopo una pausa in camera, ci avviamo verso l’osservatorio Ulug Beg. Dopo una buona mezz’ora di camminata sotto il sole, non lo troviamo, ma troviamo Shah-i-Zinda, un lungo viale che risale la collina, costeggiato di mausolei di una bellezza incredibile. Shah-i-Zinda significa Tomba dei Re Viventi e rende benissimo l’idea di cosa ci si debba aspettare. Mausolei sfarzosi e finemente decorati, uno più bello dell’altro.

Sulla via del ritorno, visitiamo Hazrat Hizr, una moschea costruita sulla cima di una collina, interamente in legno e finemente decorata. In ultimo, ci spingiamo fino al mausoleo di Tamerlano, dove sono sepolti lui, due suoi figli, Ulug Beg e uno dei suoi maestri. Dentro, incontriamo tantissimi uzbeki in pellegrinaggio venuti a rendere omaggio al grande condottiero. Alzando gli occhi, rimaniamo rapite dai soffitti incredibilmente belli.

Usciamo dal mausoleo e veniamo afferrate di sorpresa da una signora in abiti tradizionali che voleva fare una foto con noi. Da cosa ho capito dal mio russo stentato, anche lei veniva da un villaggio ed era la prima volta che veniva a Samarcanda.

Ci riavviamo verso l’hotel per una rinfrescata, ma prima ci fermiamo un po’ a godere della luce del tramonto sulla scalinata di fronte al Registan. Veniamo avvicinate da due ragazzini sui sedici anni che iniziano a parlare con noi inglese. Sono studenti e attaccano bottone coi turisti per fare conversazione in inglese e fare esercizio. Mi hanno profondamente colpito, per la voglia che hanno di conoscere il mondo e per cosa sanno del mondo esterno grazie ad internet. Il sogno di quasi tutti loro è di andare a studiare negli Stati Uniti o in Inghilterra con una borsa di studio, ma sono anche lucidamente consapevoli della difficoltà. L’Europa o gli Stati Uniti non rilasciano visti studio facilmente agli uzbeki per il timore che si fermino ad oltranza nel paese illegalmente. Ho trovato tutto ciò molto triste e ingiusto, ma allo stesso tempo ho trovato incredibile lo spirito, la voglia di vivere e la determinazione di questi ragazzi. Uno in particolare mi è rimasto impresso (e se volete potete seguirlo su Instagram @ramziddin_rm) per quanto fosse determinato. Ci ha anche invitato a casa dei suoi genitori per il giorno dopo, ma purtroppo non ne abbiamo avuto il tempo.

Dopo una doccia in hotel, ci rincontriamo a cena con Monica e Marco nel solito ristorantino sotto l’hotel. Altra cena divina, passata cercando di comunicare con il ragazzino, Ilvis (abbiamo nel frattempo scoperto che era il nipote della proprietaria). Finiamo presto, perché Ramziddin ci aveva detto che quella sera avrebbero fatto uno spettacolo di luci al Registan. Prendiamo posto sulla scalinata e rimaniamo a bocca aperta non appena l’illuminazione si accende, ho sentito un tuffo al cuore.

Dopo un’oretta, passata anche qua a chiacchierare in inglese più o meno stentato con ragazzini uzbeki, inizia uno spettacolo di musica ed ologrammi super tecnologico e super realistico proiettato sulle facciate delle madrasse. Incredibile! Dopo lo spettacolo, decidiamo di fare due passi e avviarci verso il mausoleo di Tamerlano per vederlo illuminato. Di notte è veramente tutto più magico e pazzesco.

L’ultimo giorno, decidiamo di andare a visitare una cittadina vicina, di cui non ricordo assolutamente il nome, famosa per il suo mercato settimanale. Prendiamo un taxi e arriviamo dopo una mezz’oretta. Ci perdiamo in mezzo alle mille file di bancarelle che vendono di tutto: cancelleria, cose per la casa, vestiti, tappeti, borse, cappelli, tutto d’artigianato stupendo! Purtroppo, avevo già acquistato ed esaurito il budget!

Una zona era invece dedicata allo street food: samsa (samosas), shashlik, manti, plov. Ci fermiamo in un baracchino che serviva plov, il tipico riso pilaf condito solitamente con carne, peperoni, cipolle e uvetta. Era paradisiaco!

Dopo mangiato, ci avviamo verso il gigantesco parcheggio di fronte al mercato per capire come rientrare a Samarcanda e capiamo il metodo: gridare la tua destinazione.

Dopo un buon venti minuti, troviamo un minibus che andava a Samarcanda al Registan e saliamo in attesa che si riempisse. Gli altri passeggeri: una famiglia con papà con la dentatura completamente d’oro che continuava a chiedermi selfie con il suo cellulare, perché ero seduta davanti. Viaggio stupendo e pieno di risate.

Tornate in città, passiamo l’ultimo pomeriggio a bighellonare, riandiamo al mercato e ripassiamo da tutti i posti che avevamo visitato, compresa una sosta sulla scalinata del Registan per imprimere nella memoria la bellezza. Alla sera, andiamo a mangiare di nuovo da Ilvis. E qua di nuovo la bontà delle persone: dopo mangiamo, chiediamo a Ilvis se avesse l’anguria e dice di no. Lo vediamo correre fuori e dopo 10 minuti ritorna con un’anguria per noi, che era andato a comprare da qualche parte. Andiamo a pagare e la nonna di Ilvis ci dà un regalo: un cuscino copriteiera con la scritta “Samarcanda”. L’unico rimpianto del viaggio è che ho dovuto abbandonarlo a Tashkent perché era troppo voluminoso.

Andiamo a dormire, pronte per Tashkent e per il trasferimento in Kyrgikistan. La mattina dopo, salutiamo Samarcanda a malincuore, felici di aver visitato questa città mitica e con la testa piena di fantasie su come poteva essere al pieno del suo splendore.

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