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La via della Seta da nord a sud e il Kyrgikstan. L'arrivo e la prima perla: Khiva.

Come nasce un viaggio? Bè, ovviamente non lo so, ma so come nasce un mio viaggio. Per me, nasce come qualsiasi altra cosa nella mia vita: inizio a sentire una spinta interiore, diventa pensiero fisso, finché non cominciano a manifestarsi segni e coincidenze che mi fanno dire: "ok, devo proprio andare lì".

Così è stato per il mio viaggio attraverso l’Uzbekistan e il Kyrgikstan.

La via della seta e Samarcanda erano un mio pallino da qualche anno ormai e, a fine 2017, mi stavo convincendo a organizzare il viaggio per l’agosto 2018 in solitaria, quando Laura, una delle mie migliori amiche, mi propone: Francy, ad agosto andiamo in Uzbekistan?

Ciliegina sulla torta: pochi mesi dopo trovo su una bancarella di libri usati la biografia di Tamerlano, l’equivalente uzbeko di Gengis Khan. Da lì è partito tutto.

Ad essere sincera, quando organizzo un viaggio, non ci passo mai troppo tempo: giusto il necessario a leggere qualche diario di viaggio di chi ha visitato il paese prima di me, organizzare l’itinerario e verificare i chilometri tra una meta e l’altra, prenotare i biglietti aerei e poco altro.

Ma veniamo al viaggio.

Siamo partite il 4 agosto 2018, in ansia e nell'incognita più assoluta, perché, per caso, avevo scoperto 2 settimane prima che l’aeroporto di Urgench, dove saremmo dovute atterrare, aveva chiuso. Non avevo ricevuto comunicazioni dal sito da cui avevo prenotato, né dalla compagnia aerea e i vari call center non erano stati di aiuto, dicendo addirittura che se non avevamo ricevuto e-ticket nuovi, i nostri non sarebbero stati validi. Decidiamo comunque di andare a Malpensa e, uno scalo alla volta, riusciamo ad arrivare, sia noi che i bagagli, a Nukus, 170 km più a nord di Urgench, dove avevo prenotato l’unico hotel del viaggio a cui abbiamo ovviamente dato buca.

Fortunatamente, e credetemi che quando si è in viaggio da soli questi colpi di fortuna capitano molto spesso, abbiamo incontrato in aereo una coppia di italiani che aveva il taxi prenotato per Khiva. I taxi sono il mezzo più economico per muoversi, visto che le distanze sono enormi, le strade brutte e sono alimentati a gas. Questo fatto li rende estremamente scomodi, perchè nel baule hanno il bombolone del gas e i bagagli si è costretti a tenerli in braccio.

Decidiamo di condividere il taxi con loro, tanto Khiva sarebbe stata la nostra prima meta il giorno successivo. Impressioni: dopo aver pregato di vedere sui nastri i nostri bagagli e trovato un bagno, perché ne avevo urgentissimo bisogno, esco dal minuscolo aeroporto e vengo sopraffatta dal caldo torrido, nonostante fosse tardo pomeriggio, dalla sabbia tutto intorno, dal giallo-arancio e dal profumo di questa nuova meta. L’avventura era iniziata.

Di corsa, come da quando avevamo lasciato le nostre case di Torino, saliamo sul taxi con Monica e Marco, strettissimi, coi bagagli in braccio e con l’aria condizionata che, con 50°C fuori, funzionava per massimo un’ora e poi andava riavviata.

Finestrini spalancati, tassista a tutta velocità su questa strada drittissima e sconnessa che attraversava il deserto, scende la notte e, dopo 4 ore circa, arriviamo finalmente a Khiva.

Khiva: il nostro punto di partenza per la via della seta. Città antichissima, la leggenda narra che fu fondata da Sem, figlio di Noè, con una storia di lussi, di sfarzi, ma anche di sangue e di tiranni spietati. Basti pensare che ancora nel XIX secolo, Khiva era famosa per i mercati e le carovane di schiavi e viveva in completo isolamento, fino al 1924 quando, dopo la conquista da parte dei russi, fu annessa all’Uzbekistan. Fu l’ultima delle città a venire annessa alla Repubblica Sovietica.

Arriviamo in tarda serata e Laura ed io troviamo una sistemazione per le due notti successive, grazie al cognato del proprietario del BnB dove avrebbero alloggiato Monica e Marco. Dormiamo in un caravanserraglio carinissimo, con le camere affacciate tutte intorno a una corte aperta, finestre e porte minuscole per preservare l’interno delle stanze dal caldo soffocante. Al mattino ci svegliamo di buon’ora, pronte ad esplorare la città.

Dopo un’ottima e abbondante colazione a base di uova (preparatevi perché uova, carne e colesterolo saranno presenze costanti in questo viaggio), marmellate, crepes, caffè e cetrioli, ci prepariamo per esplorare la città: crema solare, cappello in testa e scorta d’acqua. Primo consiglio pratico: se visitate questo paese in agosto o comunque in mesi caldi, non uscite mai senza cappello, acqua (bevete anche se non avete sete), crema solare e portatevi la scorta di sali minerali da assumere quotidianamente. Il caldo sembra sopportabile perché è molto secco, ma è un attimo che ci si disidrata e ci si prende un’insolazione.

Khiva è stupenda. Il nostro caravanserraglio si trovava appena fuori dalle mura della città e come le abbiamo varcate ci siamo ritrovate in Aladdin e in Le Mille e una Notte di colpo. Palazzi, moschee, madrasse (scuole dove si insegnava il Corano), case, cortili color sabbia, cupole, mausolei e pareti rivestite di ceramiche azzurre, verdi, bianche, a comporre motivi ricercati e belli da togliere il fiato.

La prima cosa che incontrammo entrando dalla nostra porta era una mappa della città interamente fatta di maioliche e il minareto “ciccione” di Kalta Minor, anche questo interamente rivestito di maioliche a comporre motivi verde acqua, bianchi e beige. Era enorme. Enorme. Questa è un’altra cosa che mi ha colpito in tutte le città della via della seta: la grandiosità e l’enormità delle costruzioni che ti fanno sentire minuscolo e impotente.

Stupendi il mausoleo di Pakhlavan Mahmud e la moschea Juma, e non perdetevi una passeggiata sulle mura della città per ammirare il panorama. Noi ci siamo salite verso il tramonto e siamo rimaste lì in contemplazione fino al calar del sole. Mentre osservavo, pensavo e riflettevo, mi è venuto in mente questo pensiero: se la gente viaggiasse di più, di sicuro ci sarebbero meno guerre e meno odio.

Altra esperienza fatta, ma che non rifarei, è stato arrampicarsi sul minareto più alto della città, il minareto del complesso Islam Khodya. Una volta in cima si gode di una vista a 360°C sulla cittadina, ma la salita è talmente ripida, difficile ed accidentata, su una scala a chiocciola interna, che non me la sono goduta affatto per la paura accumulata salendo.

La visita a Khiva merita sicuramente tutta una giornata; anche se non è molto grande, ha tantissime cose e dettagli da vedere e di cui godere.

Inoltre, è assolutamente necessario ritirarsi all’ombra a sorseggiare del the caldo zuccherato e a mangiare qualcosa nelle ore centrali della giornata. Noi di solito il pranzo lo saltavamo, visto che mangiavamo molto a colazione, ma la pausa the e pane era d’obbligo. Gli uzbeki sono eccellenti fornai, il pane è ottimo e di solito sempre appena sfornato.

A cena, invece, ci siamo rifocillate con lagman all’aneto con patate e panna acida e manty ripieni di patate e cipolle. Buonissimi! I primi sono i noodles tipici, tipo tagliolini, che vengono serviti sia asciutti con condimento che in zuppa, mentre i manty sono dei ravioloni ripieni di solito di carne e cipolle. In questo caso, la cena era stata per caso completamente vegetariana ed ignoravamo che sarebbe stato l’ultimo pasto senza carne e grasso per il resto del viaggio. Per accompagnare ovviamente birra e, dopo cena, abbiamo fumato il narghilè per entrare completamente nel mood vacanza e medio oriente.


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